18.07.2023

Il nuovo Codice degli appalti. A rischio sicurezza e legalità nei cantieri.

Con la riforma del governo Meloni, andrà a gara solo il 2% dei lavori pubblici.

In materia di appalti, la novità più importante è sicuramente il decreto legislativo 36/2023, il nuovo Codice degli appalti fortemente voluto dal governo Meloni. Una riforma che, in nome di un condivisibile intento di “semplificazione, sburocratizzazione delle procedure e liberalizzazione”, rischia di spazzare via in un solo colpo le fondamentali garanzie di controllo sulla sicurezza e sulla legalità nei cantieri, peraltro, in una fase delicatissima come quella della realizzazione delle opere finanziate con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che fanno gola ai clan mafiosi, alle imprese senza scrupoli e agli amministratori corrotti. Lo ha denunciato a gran voce Legambiente, insieme a Libera e Avviso Pubblico, ma anche l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che ha espresso forti dubbi sulla nuova disciplina.

La modifica più rilevante è l’innalzamento della soglia minima per l’affidamento dei lavori tramite gara d’appalto che sale da 1.000.000 a 5.300.000 di euro, con tutte le relative conseguenze dal punto di vista della trasparenza, della libera concorrenza sul mercato e della legalità. Sotto questo tetto di spesa, Comuni e Regioni potranno assegnare i lavori in maniera sostanzialmente discrezionale, con un’unica differenza: l’affidamento diretto sotto i 500.000 euro e la procedura negoziale sopra tale cifra (fino a 1.000.000 euro bisognerà invitare 5 imprese da cui farsi fare un’offerta, mentre fino a 5.300.000 euro almeno 10). In breve, sarà necessario bandire una gara solo nel 2% dei lavori pubblici in Italia e questo metterà in una posizione critica in primis i sindaci, che saranno sottoposti più facilmente a pressioni o avranno campo libero per comportamenti clientelari o corrotti.

Una situazione molto critica anche per le imprese, che potranno aggiudicarsi un lavoro pubblico solo se conosciute dagli enti appaltanti o, peggio, solo se “in buoni rapporti” con chi decide l’affidamento. Questa situazione è aggravata dalla volontà di premiare la “territorialità”, ossia di privilegiare ditte “a km 0”. Una questione bocciata già due volte dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto illegittima una norma che dia priorità alle aziende del luogo a discapito delle più elementari regole della libera concorrenza, discriminando eventuali altri operatori interessati all’appalto.

Un altro elemento di preoccupazione riguarda l’introduzione del c.d. subappalto a cascata. La filiera dei subappalti, che assegna lavori o altre prestazioni previste dal contratto a imprese terze, è da sempre l’area grigia delle opere pubbliche dove si inseriscono più facilmente gli interessi criminali. Se il Codice del 2016 lo vietava, adesso anche il subappaltatore potrà a sua volta affidare lavori ad altri, allungando la lista delle imprese coinvolte, con le ovvie conseguenze in tema di opacità e di controllo da parte della stazione appaltante.

Legambiente auspica che si possano adottare i correttivi necessari per assicurare, accanto alla semplificazione e all’efficienza, anche legalità e trasparenza. Condizioni essenziali per salvaguardare i cantieri e i lavoratori, per impedire l’assalto delle imprese criminali, per garantire lo sviluppo e la modernizzazione di cui il nostro Paese ha estremo bisogno e per cui i fondi del Pnrr rappresentano un’occasione unica e irripetibile.