La filiera spesso si conclude nelle teche di importanti musei internazionali dove i pezzi sono “ripuliti” da false documentazioni che ne attestano la legittima provenienza. Lo stesso percorso vale per dipinti e opere d’arte trafugati in ville private.
Ma in Italia, che è un continuo susseguirsi di giacimenti a cielo aperto di reperti archeologici, sono quest’ultimi a rappresentare il business più florido, essendo beni sconosciuti fino al loro ritrovamento, non sono catalogati e sfuggono così alle ricerche degli investigatori.
L’archeomafia è anche un’occasione unica per riciclare denaro, utilizzare i beni trafugati come moneta di scambio per partite di droga e armi, come mezzo di ricatto nei confronti dello Stato.
Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto